Dott.ssa Paola Olivanti
Dante Vaglieri alla Direzione degli Scavi di Ostia Antica (1908-1913)


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     In questi anni venne alla luce una grande quantità di materiali, tra cui alcuni pezzi particolarmente pregiati, che immediatamente diventeranno nell’immaginario collettivo il simbolo degli scavi ostiensi: la statua della Vittoria (fig. 13) e la statua di Sabina come Cerere (fig. 14): in particolare per quest’ultima si tratta di una delle prime fotografie realizzate “in proprio” negli Scavi di Ostia di cui si abbia notizia contemporanea. (34)
     Alla morte di Vaglieri l’attività ad Ostia perderà in parte questa energica spinta operativa e continuerà con esigui fondi ordinari fino alla grande impresa dell’E42.
     L’analisi della documentazione di archivio (Giornali di Scavo, Relazioni Quindicinali, fotografie) relativa ai pochi anni trascorsi da Vaglieri alla Direzione degli Scavi di Ostia (dove ha lasciato una traccia ben più profonda e duratura di quanto non avesse fatto alla Soprintendenza di Roma) e delle relazioni periodicamente inviate alla redazione di Notizie Scavi consentono di ricostruire la personalità di uno studioso rigoroso ed attento, ma non privo di elasticità e di intuizioni, anche metodologiche, piuttosto inconsuete nell’Italia di inizio Novecento: un’Italia che stentava a riconoscere la validità del metodo stratigrafico di Giacomo Boni (l’esperienza di Boni rimarrà ancora per lungo tempo un episodio isolato) e che non aveva ancora (come lamenta lo stesso Vaglieri) una tradizione di studi di cultura materiale (ed in particolare sulla ceramica romana di età imperiale, considerata non degna di attenzione soltanto perché prodotta in serie). (35) In più punti Vaglieri parla in modo quasi imbarazzato della grande quantità di ceramica proveniente dai suoi scavi e conservata al Castello di Giulio II, lo studio della quale, in mancanza di specialisti italiani, dovrà necessariamente essere affidato a studiosi stranieri, denunciando la mancanza di una scuola di studi ceramologici, sulla scia della tradizione tedesca, lamentando il fatto che “non esistono in Italia confronti sicuri per la ceramica di Ostia” che a sua volta, se adeguatamente studiata, potrebbe costituire essa stessa un confronto. Tra i primi in Italia comprese quindi l’importanza dello studio corretto e sistematico della ceramica romana di età imperiale, una classe fino ad allora assolutamente trascurata dagli studiosi nostrani, in favore di altre quali la ceramica attica, quella etrusca e gli impasti protostorici o dell’età del ferro. A conferma di questo profondo interesse (e tra le righe si percepisce anche la consapevolezza, accanto ad una discreta conoscenza di base, di non essere uno specialista della materia), tra i titoli della biblioteca allestita da Vaglieri figurano diversi repertori sulla ceramica proveniente dal limes danubiano o renano.

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(34) “Aggiungo la notizia che in questi giorni è venuta alla luce, tra il resto, una bella statua, ritratto di donna (imperatrice?) in veste di Cerere, di cui manderò a V.E. [il Direttore Generale C. Ricci] la fotografia appena sia pronta. Il Direttore”, D. Vaglieri a Corrado Ricci, 13 aprile 1909.

(35) Per un quadro sufficientemente esaustivo dell’archeologia italiana all’inizio del ‘900, cfr. M. Barbanera, ‘L’archeologia degli italiani’, Roma 1998, spec. i capitoli II e III, mentre il dibattito sul metodo è ampiamente affrontato in Manacorda 1982a. Sono questi gli anni in cui per la cattedra di archeologia dell’Università di Roma si preferisce la tradizione di Emanuel Löwy e della scuola tedesca alle tendenze in qualche modo innovative e tecniche di Paolo Orsi.