Carlo Piola Caselli
Il card. Carlo Francesco Caselli (parte seconda)


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     Al P. Matteucci a Città della Pieve accenna alle difficoltà attuali della Lombardia, dove l’andarvi non pare desiderabile. Il 18 al P. Gualdi a S. Giorgio circa il rescritto che il barone Cappelletti, incaricato d’affari per le corti di Spagna e Parma, ha impetrato, a sua insaputa, da Nostro Signore, ma l’abbiamo trovato mancante di data, della sottoscrizione del segretario o sostituto e del sigillo, cose tutte necessarie. In pari data, dalla lettera di Caselli a Baroni, anch’egli a S. Giorgio, troviamo un accenno alla situazione militare che ormai dilaga nel nord della penisola ma, un po’ perché scrive da Roma, un po’ per l’assestamento pacifico degli eventi, notiamo che non drammatizza più di tanto, anzi sfodera la sua ironia: “L’abbiamo pensata noi pure, che egli sentendo l’invasione di Piacenza, e del Milanese, si sarebbe determinato a retrocedere da Parma a Bologna, di dove se si risolverà di fare la visita della Romagna crederemmo che gli riuscisse senza che i nuovi ospiti d’Italia lo vadino a disturbare”, quindi gli accorda le solite facoltà, estendendole al suo P. socio, quando venga da lui destinato alla visita della Lombardia. Destina P. Corsetti a Lucca, considerate le circostanze, poiché né in Lombardia né in Romagna troviamo luogo. (319)

     Infatti, con l’incalzare da parte dei francesi su lodigiano, Pavia, e Cremona, l’arciduca Ferdinando, governatore di Milano, ha spedito i figli a Mantova e lui stesso ripara a Bergamo, dove ha avuto notizia dell’esito della battaglia di Lodi. Il 14 una deputazione milanese muove incontro a Massena e due giorni dopo con maggior seguito vanno incontro a Bonaparte, che vien accolto regalmente, con gran pompa, splendido convito, alloggiamento nel palazzo di corte, giornata solennizzata con l’innalzamento dell’albero della libertà nella vicina piazza del duomo, luminaria la sera, teatro, gran ballo, una regìa perfetta, con un trionfo di popolo, tutto sembra fuorché una citta diventata preda di un esercito vittorioso. Ma anche ai milanesi arriva il conto, diremmo piuttosto salato, commisurato alla fastosa accoglienza, un tributo di 20 milioni, provincia compresa, computandovi panni, tele, cappelli, scarpe, calze, tutto il necessario per vestire l’armata, oltre alla requisizione di polvere, salnitro, zolfo, bronzo, piombo, ferro, utensili, recipienti, ma decidendo la restituzione dei pegni non eccedenti le 100 lire ciascuno e la distribuzione gratuita del pane in vari quartieri anziché in un sol luogo come avveniva prima.

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(319) A Baroni continua, P. Chioni dimesso dagli studi, P. Giannetti, dim. di P. Giambastiani, PP. Mappelli e Boni.