Carlo Piola Caselli
Il card. Carlo Francesco Caselli (parte prima)


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     La direttiva dell’Adami non è frutto di una folgorazione sulla via di Damasco, né assimilabile alla visione di Costantino, neppure ricevuta al ‘roveto ardente’, bensì la risultante di una tradizione, sulla scia di una “ratio studiorum” già in essere, da cui è appena passato Caselli. Adami, con eleganza ed erudizione, ha voluto non tanto attillare loro le vesti e fare orli, ma segnare la costellazione degli autori da mettere in scena, a guisa di un Pantheon o di una specie di olimpo con dèi maggiori, minori e semidei, ordinandoli in un sistema, da occidente ad oriente, con un encomiabile spirito ecumenico, risultante di un’esperienza maturata nei 24 anni in cui è stato alla cattedra pisana che ora, generale dell’ordine, può emanare, come cardine soprattutto per i reggenti degli studi.
     Adami, arrivando a Roma, si è lasciato alle spalle una Toscana in cui è arrivato Leopoldo II, che promuove in quello stato un ‘laboratorio’ innovatore, percui si rende conto che, se non si sa stare al passo, gli stati europei, nel loro zelo riformistico, stanno tendendo ad assumere anche le redini della vita religiosa: occorre quindi saper essere all’altezza dei nuovi tempi che stanno maturando. Questo sembra essere il suo messaggio, di cui Caselli fa tesoro.

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     Ci conviene fare una panoramica sul giansenismo in Europa. Esattamente un secolo prima della nascita di Caselli, Cornelius Jansen, detto Giansenio, aveva pubblicato l’Augustinus. I fermenti nel continente erano molti. Il “quietismo” che professava una passività contemplativa nel 1670-90 era stato abbastanza facilmente debellato, ma altre tendenze, più eterodosse, conseguenti al concilio di Trento, erano più difficili da contrastare, proprio perché si contrapponevano all’ ‘imperialismo’ gesuitico. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: così infatti è avvenuto, più l’azione dei gesuiti era ed era stata forte, più la reazione era stata nutrita. La questione di fondo era imperniata sulla ‘grazia’ e sul ‘libero arbitrio’, con cui i gesuiti avevano guadagnato l’appoggio dell’autorità ecclesiastica. Ma, se si accettava il principio della predestinazione, del tutto già scritto e prescritto, quale senso poteva avere la grazia salvifica?