Carlo Piola Caselli
Il card. Carlo Francesco Caselli (parte prima)


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     Domenico già nel 1717 ha donato ad un suo figlio, il primogenito, ancora neonato, un terreno, poi in seguito un altro. Nel 1743 dovendo dividere, con i fratelli Giambatta, Lucca ed Andrea, l’eredità paterna, consistente soprattutto in case e terre a Castellazzo, oltre alle cave, con la sua parte, dimostrando spirito attivissimo, si tuffa in lucrose attività. Acquista non solo 298.000 mattoni, in blocco, all’ingrosso, ma anche case, in città e fuori, alcune in società con il fratello Andrea, a volte in nome proprio o di persona da nominarsi, una per propria abitazione, acquistata dal Molina, dietro alla cattedrale, proprio accanto a quella di Andrea. Dalla confraternita della Misericordia ha preso a censo una terra con vigna. Un suo debito lo ha garantito con i beni di San Giuliano. Permuta, spezzetta, ingrandisce, secondo il caso, le terre della natia Castellazzo, invece di fare come i cugini, che hanno bloccato i loro capitali nei pubblici macelli o nell’acquisto dell’”affittamento del mercimonio”, ritenendo meglio non tenere i capitali fermi, ma farli girare, prestando anche zecchini gigliati: divenendo così banchiere, ricorreranno a lui persino il conte Stortiglione ed Angela Maria Capelli contessa di Murazzano, la quale ha ceduto la sua casa a Giovanni Tommaso Ghilini, arrivando questi a confinare con la confraternita della Domus Magna. Sempre con Ghilini nel 1748 sottoscrive una “scrittura d’obbligo” per lavori in duomo, poi per restauri sempre nella cattedrale (spaccatura della facciata e come levar l’acqua dal cortiletto della sacrestia) redige una relazione nel 1751, quindi nel 1759 otto pagine di istruzione per lavori nell’abitazione civica del conte di Bricherasio, governatore della città, anche se non vince quest’ultimo appalto.