Bacheca Parenti ed Amici


Recensione del volume
"L’Africa come carriera. Funzioni e funzionari del colonialismo italiano"
di Chiara Giorgi, Carocci Editore, Roma, 2012, pp. 222.


      Con una fotografia di gruppo, in copertina, tratta dall’Archivio Piola Caselli, il libro di Chiara Giorgi riflette le problematiche dell’amministrazione coloniale italiana, mettendola a confronto con le analoghe esperienze francesi ed inglesi, ma tendendo addirittura a cercar di far luce su molti tratti che hanno caratterizzato la classe dirigente italiana a cavallo tra due secoli, l’ottocento ed il novecento.
      Si tratta della risultante di un cospicuo lavoro d’archivio, da parte dell’autrice, nell’aver dissodato i vari aspetti, nell’aver analizzato la bibliografia, nell’aver fatto affiorare degli interessanti profili, caratterizzati da virtù, a volte non scevri da vizi, in un’accurata indagine di quell’eterogeneo contingente di funzionari, civili e militari, impegnati in Africa ad amministrare le terre dell’Oltremare italiano.
      Non ha mancato di scandagliare la retorica fascista e non solo, come opera di “civilizzazione”, risultante della “missione” imperiale, quasi nell’intento di aver voluto indossare dei paramenti sacri o comunque sacralizzanti, scadendo però in dubbie ambivalenze, difficili da valutare anche per il troppo breve lasso di anni per impostare adeguatamente un’organizzazione autonoma e per l’incalzante evento e sconvolgimento dello scoppio della seconda guerra mondiale, che avrebbe portato nuovi parametri nel globo terrestre, non escluso nel rovescio della medaglia un imperialismo dell’arraffare senza dare, quindi assai peggiore del colonialismo. Su scala nazionale, emergono analogie tra l’amministrazione coloniale e gli errori, specialmente nel dopoguerra, nell’affrontare, da parte dello Stato, la questione meridionale della penisola.
      La studiosa passa quindi a confrontare i vari modelli (notando però la sperequazione tra un impero come quello britannico nell’amministrare un territorio vasto come l’India, e non solo), i vari metodi di reclutamento dei funzionari, addentrandosi nelle radici dell’esperienza amministrativa italiana allorquando alla “Rubattino” subentrò lo stato, analizzando l’età liberale, per arrivare agli “anni venti”, all’assesto tra commissariati, residenze e viceresidenze, confrontando l’esperienza libica con quella in A.O.I., arrivando all’esame del proscioglimento dei “tecnici senza colpa”, lontani dal regime anche se spesso emanazione di esso, essendone soltanto un riflesso, anche perché molti provenivano invece dal Regio Esercito. Infine, l’indice dei nomi ne impreziosisce la veste editoriale, facendone un utile manuale per gli storici.
      C.P.C.