Regno Italico. Sue forze, sue difese
di Angelo Piola Caselli, Pinerolo, 1860




REGNO ITALICO. SUE FORZE, SUE DIFESE

CONSIDERAZIONI DI UN UFFICIALE DI CAVALLERIA.

PINEROLO 1860 - TIPOGRAFIA DI GIUSEPPE CHIANTORE.


      AI MIEI COMPAGNI D'ARMI.

      Nelle ore d'ozio, rimastemi libere dai doveri della mia carica, ho gettato sulla carta senza pretensione alcuni pensieri, fondati sopra osservazioni da me fatte nell'ultima campagna, ed ora ardisco sottoporli al pubblico giudicio, colla speranza ch'essi non siano indegni di qualche considerazione, sopratutto in questi giorni in cui una nuova guerra non par lontana, ed il bisogno perciò di mettere validamente in atto tutte le nostre forze è cosa importante ed urgentissima.
      Chi ama il proprio Paese e sente il prezzo del conservarlo indipendente, non sa trattenersi dal dire il suo concetto, su di un argomento che agiti la sua mente, anche quando conosca la pochezza del suo ingegno. e la difficoltà d'incontrare il pubblico aggradimento nei tempi presenti, in cui una più vasta istruzione non lascia sperare la facile indulgenza dei tempi passati.
      Epperò nell'intitolare a Voi, miei commilitoni, il tenue lavoro, mi riprometto il favore del quale ha bisogno, e che voi vorrete accordargli in segno di quella fratellanza di sentimenti che invigorì l'opera nostra sui campi di battaglia, e che non sarà meno potente quando il prode Sovrano e la Nazione faranno un nuovo appello al vostro valore.
      Dopo tanti secoli di sempre fallita aspettazione pare finalmente giunta l'epoca in cui la conculcata Italia si avvia verso la sua totale indipendenza.
      Gli atti delle Provincie, che già si unirono al Piemonte, dimostrano come oramai le popolazioni riconoscano nella concordia il mezzo più necessario per arrivare alla gran meta; le ovazioni veramente straordinarie ed universali, delle quali testò fu scopo il Principe guerriero e leale, che dell'italiana indipendenza si è fatto propugnatore e campione, le festività e 1'entusiasmo spiegato dalle popolazioni già libere dalla schiavitù straniera, e le aspirazioni ben note di quelle che tuttora la soffrono, mentre appalesano come l'idea nazionale sia un desiderio universale ed irresistibile, indicano altresì che da siffatta unanimità di voleri sia per sorgere forza valevole, non solo a dar l'ultima mano alla unità italica, bensì ancora garantirla dal pericolo di nuovo servaggio.
      Bene è confidare in queste rassicuratrici speranze, ma prudente cosa ò pure il non abbandonatici ciecamente, e ricordare sempre la storica cupidità dei vicini, la materiale forza loro di molto superiore alla nostra, i grandi interessi d'Europa, ai quali pigliano parte, che possono per avventura condurli, non ostante i trattati e la parentela, ad accordi fatali all'esistenza della nostra nazionalità; non dimenticare infine, che se è vero che le provincie più popolate e più ricche della penisola formano oramai uno stato potente e capace di grandi azioni, molti nemici tuttora annoveriamo in Europa; o perchè osteggiano il principio da cui ebbe vita ed avrà compimento la nostra unione, o perchè avvenne a detrimento di Principi naturalmente cupidi di riconquistare il perduto, o perchè in ultimo l'avviamento, impresso dal nostro Governo alla totale unificazione d'Italia, ingelosisce e spaventa i potentati italiani che ancor siedono sui loro troni, e con essi i loro protettori.
      Chi tiene conto di tutto ciò non s'illude sulla stabilità dell'attuale ben avviata condizione dello cose d'Italia, e quanto più ama ed idolatra ciò che or possiede, tanto più prova il timore di perderlo; prevede i pericoli che minacciano il possesso, e lavora colla mente a trovar mezzi per raddoppiare le nostre forze, usando di tutti quegli elementi che la nostra condizione territoriale ci porge. Il regno ora creato dalla volontà dei popoli dell'alta e media Italia annovera una popolazione di circa 12 milioni, ma quand'anche colla totale unificazione potesse il Regno Italico contarne un doppio numero, non perciò basterà, per mezzo dell'esercito solamente, atelier fronte alla Francia od all'Austria, dotate d'assai maggiore popolazione; così che per quanto il nostro regno sia ringiovanito e reso più forte dalle libertà politiche, le quali, col parificare i dritti dei cittadini, impressero in tutte le classi del popolo pari interesse e pari bisogno a difenderlo dalle invasioni straniere; tuttavia, siccome le battaglie si vincono, come disse Napoleone I, coi grossi battaglioni, così, per quanto grande sia per essere il nostro valore, dovremo sempre temere la perdita della nostra indipendenza, se alla forza certamente valida delle nostre truppe non aggiungeremo altri mezzi che servano a moltiplicarne gli effetti.
      L'idea tradizionale e comunemente invalsa fu che l'antagonismo secolare della Francia e dell'Austria farebbe sì che l'una ci salverebbe sempre dall'ingordigia dell'altra, non potendo nè la prima, nè la seconda permettere il possesso del Piemonte alla sua emula. Ciò poteva esser vero nelle condizioni in cui per lo passato si trovavano quelle due nazioni; non certamente al dì d'oggi in cui siffatte condizioni politiche sono mutate, e l'avvenire dell'una e dell'altra fa presupporre mutazioni anche più grandi nella politica dei diversi gabinetti e nelle condizioni dei diversi stati d'Europa.
      In Francia una nuova dinastia tende a consolidarsi; nata dalla rivoluzione essa non può raggiungere il suo scopo se non segue un sistema rivoluzionario, non già quello che opera por solo mezzo del popolo, bensì un altro che pare meno pericoloso e più conveniente ai fini della nuova dinastia, quello cioè che avrebbe luogo mercè il concorso delle altre dinastie d'Europa soggette all'influenza della francese, ed ambiziose d'ampliazione di territorio.
      Dal complesso dei fatti avvenuti, dacché sorse in Francia il secondo Impero, pare evidente essere intendimento dell'Imperatore di far apprezzare ai governi delle grandi nazioni d'Europa nuovi interessi, di far mutare le loro passato tendenze, e direi, di spostare siffatti interessi di modo che le loro aspirazioni trovino il tornaconto in circoscrizioni di stato ed in alleanze diverse da quelle a cui tendevano por lo passato.
      Secondo tale sistema l'Imperatore protegge l'attuale governo di Spagna nato dalla rivoluzione e bisognoso della sua protezione per sostenere la lotta contro la reazione, che serpeggia di continuo nelle Spagne in favore dei dritti della linea maschile dei Borboni, ora esiliati; accarezza l'idea della nazionalità italiana, idea degna in vero della sua gran mente e del suo gran cuore, e concorre a fondare un Regno Italico governato dalla più illustre e più bellicosa dinastia d'Europa; e quantunque pel momento non abbia voluto libera la, Venezia, onde poter attaccare l'Austria anche da questa parte nella prima prossima guerra che egli tenterà per impadronirsi delle provincie renane, forse non sarà contrario alla totale unificazione italiana, dopo che colla cessione a lui l'atta della Savoia e del Contado di Nizza, tiene un piede in Italia, desiderio della Francia di tutti i tempi.
      Verrà il giorno — e se ne vedono i sintomi precursori — in cui animerà la Prussia ad allargare i suoi stati ed a conquistare finalmente lo ambito primato germanico, facendo scomparire que' molti principotti che sono d'inciampo alla unificazione dell'Allemagna. La Francia aiuterà, se occorre, la Casa di Prussia, ma, ben inteso, mediante che la linea del Reno serva ad essa di confine. L'Imperatore accarezza la Russia, la quale, se ambiva per lo passato far valere la sua influenza negli affari d'Europa, oggi pare non miri che a rinvigorire le sue forze, ponendo in azione i molti elementi di prosperità che possiede, e tenda vieppiù ad allargare le sue ali verso l'oriente.
      Né pare sia Napoleone per contrastare siffatte tendenze. Se un dì credevasi essere Costantinopoli la chiave del commercio coll'Asia, il punto dominante d'Europa, oramai tale idea perde il suo valore, dacché l'aprimento, che certo dopo le cose dette e fatte avrà luogo dell'Istmo di Suez, schiuderà al Commercio una via più breve, più sicura e più economica. Dall'altro canto la Francia, mediante l'esteso litorale ch'essa possiede in giro al Mediterraneo, le alleanze colla Spagna e con l'Italia, e con una forza navale stragrande non può temere la concorrenza della Russia, per quanto essa possa divenir potente coll'annessione di una parte della Turchia Europea; senza dire che nella spartizione dell'Impero Musulmano, alcun bricciolo di esso toccherà pure alla Francia, troppo cupida di qualche importante scalo in Levante ed in particolare dell'Egitto, aspirazione del Grande Napoleone.
      In forza dello stesso sistema concorse a togliere la Lombardia all'Austria, e sarebbe pure concorso a toglierle la Venezia, se ciò potesse giovare ai progetti che l'Imperatore volge nella mente, diretti principalmente a fornire alla. Francia i suoi naturali confini. Intanto, se sono esatte le voci che corrono, offrirà una mano amica alla sua rivale, proponendole per avventura qualche largo compenso sul Danubio, le cui provincie non vorrà che cadano nel dominio russo; ovvero le prometterà l'aiuto delle sue armi per impedire che la Prussia riceva un ingrandimento da farle acquistare l'assoluto Primato Germanico.
      Le surriferite evoluzioni politiche, delle quali ò fecondo l'ingegno di Napoleone, sono per mutare le condizioni territoriali degli Stati sunnominati, inducendoli a seguire interessi, i quali costituiscono in Europa un equilibrio fondato sovr' altre basi, e si connettono con quelli della Francia, promotrice del nuovo assestamento.
      Le condizioni della Francia Imperiale, la sua potenza, e le sue aspirazioni sono adunque ben diverse da quelle della Francia dei Borboni rispetto all'Italia.
      Vediamo ora quali siano le condizioni dell' Austria, e se essa sia tuttora quella che in altri tempi controbilanciava in Piemonte la potenza francese.
      La perdita della Lombardia e dell'appoggio in Italia dei Principi che regnavano sulla Toscana e sui Ducati, e più ancora i moti rivoluzionari di alcune Provincie dell'Impero, tendenti ad emanciparsi, hanno indebolito materialmente e moralmente il Governo Austriaco. L'avvenir suo si presenta tanto più triste, in quanto che persiste nel voler conservare la Venezia e nel mantenere un sistema politico falso, ora che nella Prussia, nelle principali potenze Germaniche ed in Italia esistendo leggi costituzionali, è naturale chele popolazioni dell'Impero aspirino esse pure ai diritti oramai goduti da tutta l'Europa civile.
      Epperò nel caso di una guerra colla Francia noi non potremmo invocare l'aiuto dell'Austria, poiché, vincendo con essa, se la Francia volle da noi la cessione della Savoia e di Nizza, che cosa non pretenderebbe l'Austria cui abbiamo tolta la Lombardia? E correremmo pericolo di non poterci più liberare dalla sua amicizia, la quale diventerebbe terribile oppressione.
      L'Austria potrebbe divenire la nostra amica naturale mediante due necessarie condizioni: la prima cioè rinunziando alla Venezia e limitando i suoi confini alle Alpi, la seconda col largire all'Impero leggi costituzionali. Mentre la prima concessione servirebbe ad aumentare le nostre forze e a darci una migliore posizione strategica, la seconda, siccome assimilirebbe le leggi politiche a quelle del Regno Italico, queste diverrebbero una garanzia di stabile alleanza; perciocché i popoli civili non hanno né l'istinto della conquista, né ambizione di dominio su quelli d'altre nazioni, bensì l'istinto loro mira semplicemente alla libertà del traffico, che è legge di natura, alla facilità de' rapporti tra popoli e popoli; di modo che, quando i Governi limitrofi stipulano trattati di Commercio che soddisfino i loro interessi, la fratellanza tra le popolazioni è la conseguenza immediata della soddisfazione dei reciproci loro desideri. In tal caso le invasioni non hanno più causa di esistere, né per parte dei popoli bramosi di concordia, né per quella dei Monarchi frenati dalla volontà sovrana delle Rappresentanze Nazionali.
      Nessuna speranza di soccorso potremmo dunque avere nello stato attuale di cose dall'Austria.
      L'Inghilterra, che avrebbe interesse a proteggerci, non ha forze bastevoli. E valga il vero: se essa avesse avuto fede nelle proprie forze avrebbe ella soggiaciuto con tanta rassegnazione alle umiliazioni impostele dalla Francia dopo la guerra di Crimea? Avrebbe ella tollerata la influenza che l'antica rivale esercitava in Europa? e in ultimo permetterebbe essa l'annessione della Savoia e del Nicese, la quale, se da una parte estende i confini della Francia, e la provvede colla rada di Villafranca di un nuovo stabilimento navale, che unito a quelli che già possiedo lungo le sue riviere potrebbe essere formidabile e padroneggiare il Mediterraneo e 1' Italia; dall'altra nasconde il pensiero di allargare anche verso il nord i confini dell'Impero? No, l'Inghilterra ha la coscienza della sua inferiorità, e perciò in caso di guerra essa ci abbandonerebbe, dopo sterili proteste, siccome oggi opera nella quistione Svizzera, in onta agli obblighi solenni altra volta assunti.
      La Russia sarà sempre la nostra alleata naturale; ma, oltreché è troppo lontana per poterci recare valido soccorso, essa poi coltiva vieppiù l'alto interesse legato alla quistione d'Oriente, essa non vorrebbe sagrificarlo per sostenerci, non susciterà contro a sè l'inimicizia della Francia per non averla ostile nel cammino che la conduce al grande scopo datanti anni vagheggiato.
      Non potendo il nuovo Regno Italico aspettarsi aiuti prevalenti nè dall'Inghilterra né dalla Russia, e meno ancora dall'Austria, la quale a quanto sembra, pensa a tutt'altro che ad abbandonare la Venezia, ed a porgere una costituzione all'Impero, non ci resta altro alleato chela Francia: essa ci accorderà la sua amicizia, a patti però di ubbidire a' suoi voleri e di seguire la sua politica all'estero, forse anche nell'interno. Non avremo nulla a temere per parte dell' Austria; ma potremo noi chiamare l'Italia indipendente? Saremo noi assicurati contro il pericolo di un volta-faccia nato per avventura da un interesse dinastico o da potenti ragioni di Stato, che comandassero il sagrificio più o meno grande dell'alleato, o da un rivolgimento politico che portasse al potere per esempio un Lamartine per principio ostile alla Nazionalità Italiana?
      Sottoposti a questi pericoli, dei quali la storia ci dà numerosi esempi, dovremo noi rassegnarci a vivere con questa spada di Damocle che penderebbe sul nostro capo? No davvero! il piccolo Piemonte, calpestato a molte riprese e dalla Francia, e dalla Spagna, e dall'Austria, cupidi tutti di questa bella parte d' Italia, seppe sempre mostrarsi degno del suo destino di propugnatore della Libertà Italiana. Guerre, che talvolta durarono oltre venti anni non interrotte, non stancarono la sua costanza, non invilirono l'animo suo; sempre uscì dalla lotta con gloria, soventi volte con ampliazione di Stato.
      Le conseguenze delle guerre passate dovevansi al valore non meno delle Truppe ed alla loro organizzazione, che agli elementi impiegati, ed ai sistemi di guerra adottati per stancare il nemico, distruggerlo alla spicciolata e tirare il più possibile in lungo la guerra. Si combatteva sempre, prospera od avversa la fortuna, si conseguiva lo scopo di diminuire le forze nemiche, e si aspettava intanto l'azione del tempo, sempre benefica per chi ha fede nel suo coraggio e nella giustizia della sua causa. Ora se il solo Piemonte, con poco più di due milioni di abitanti e con rendite esigue, seppe affrontar sempre grandi eserciti; che non potrà far ora aumentato per l'annessione di tante ricche, popolose ed armigere provincie, se con ferrea volontà si propone di proseguire il sistema di difesa che tanta parte ebbe nei profitti delle guerre sostenute dai Principi Piemontesi?
      L'amicizia nostra verso la Francia è un dovere comandato dalla gratitudine e consigliato dalla politica; ma non dimentichiamo che se l'indipendenza del nuovo Regno Italico dev'essere una verità, se vogliamo scemare il pericolo che ci minaccia la presenza delle armi francesi ed austriache, che ci stanno sul collo dalla Savoia e dal contado di Nizza per 1'una parte, e per l'altra dalle agguerrito fortezze del famoso quadrilatero, noi dobbiamo imitare la tattica dei nostri Principi, provvedere alacremente alle difese, mantenendo un esercito stanziale numeroso, ben disciplinato, e moltiplicarne la forza col-l'impiego degli elementi che possediamo nella condizione nostra topografica, e che servir possono ad una lunga resistenza, in aspettazione di di quegli avvenimenti, che sono opera ordinaria del tempo, li salire al trono che faccia un nuovo Principe in Europa, un commovimento rivoluzionario, un interesse che improvvisamente si desti presso qualcuna tra le primarie nazioni, sono vicende atte a provocare o mutazioni di politica, o l'ambizione di certi Principi, o delle alleanze insperate. I Sovrani di Casa Savoia ebbero più volte a fruire gli effetti di queste favorevoli circostanze, per cui videro mutarsi le sorti e poterono uscir illesi da guerre incominciate e protratte sotto infausti auspici.
      Il nostro Governo con instancabile alacrità provvede all'aumento dell'Esercito ed al suo completo armamento, così che è da sperar che fra non molto annoverar potremo circa ducento mila uomini sotto le armi, ed una marina proporzionata al bisogno di difesa che ha l'ampio nostro litorale.
      Tuttavia queste forze per se stesse non basterebbero a resistere all'invasione tanto dell'Austria, quanto della Francia, se l'Esercito non è rinvigorito da que' mezzi che sono per conseguirsi, adottando un sistema di difesa usato dai nostri maggiori con buon successo; sistema che se oggi ha perduto assai della sua utilità, mercè lo stragrande numero dell'artiglieria di cui va fornito un Esercito, non manca però di essere ancora necessario per rallentare e disanimare il nemico che baldanzoso tentasse avanzarsi nelle nostre terre.
      Tale sistema consisteva nel murare le città ed i borghi cospicui collocati in posizioni strategiche, munendoli di qualche propugnacolo, che ne rendesse più lunga la" resistenza e più difficile l'assalto. Questo genere di difesa, che crea all'invasore il maggior numero d'ostacoli possibile, fu dal Governo adoperato nell'ultima guerra, tanto sul Novarese, quanto nel Vercellese e nella Lomellina, dove furono fatti saltare tutti i ponti sui canali, tagliate le strade, allagate le campagne, mercè la rottura delle dighe.
      Ma qual maggior vantaggio avremmo noi avuto se arrivando alla Sesia l'Armata Austriaca avesse trovato Vercelli fortificata e pronta ad opporre una resistenza? Si sarebbe essa arrischiata di passare il fiume a valle e trovarsi così fra due piazze forti, Casale e Vercelli? Avrebbe forse passata la Sesia a monte, ma con Ivrea munita essa pure di fortificazioni e presidiata dalle Guardie Nazionali della Vallata d'Aosta e delle terre vicine riunite sotto il Generale Garibaldi, per esempio, che già comandava ai corpi franchi, si sarebbero avuti circa quindici mila uomini, la cui presenza avrebbe minacciato il fianco destro dell'Armata nemica, mentre da Casale l'armata regolare ne avrebbe minacciato il fianco sinistro, e così le feroci masnade che misero a fuoco ed a ruba quelle belle provincie, e che si vantavano di essere in tre giorni a Torino, non avrebbero forse neppur osato di passare la Sesia.
      E qui mi sia permesso di esprimere una mia idea sull'organizzazione della Guardia Nazionale, lasciando a qualcuno più pratico di me censurarne la legge e promuoverne un'altra forse migliore.
      E una bellissima cosa l'istruire i militi secondo la nuova teoria; ma sarebbe assai più utile che essi venissero esercitati al tiro del Bersaglio, e loro si facesse un i particolare istruzione della manovra del cannone; poiché le Guardie Nazionali, più che in campo, devono combatterò nelle piazze forti, e la musica che ordinariamente suonasi nelle fortezze, è quella del cannone. Non voglio mica, che siano abili artiglieri, ma solo che sappiano caricare il pezzo, lasciando poi al soldato bene istruito l'incarico di puntarlo.
      Sarebbe pure necessario, che non tutti gli Ufficiali della Guardia Nazionale fossero per elezione, ma che il Governo ne nominasse almeno un terzo, e fossero queste nomine di ufficiali in ritiro: vecchi soldati a cui l'istruire ed il combattere ricorderebbe la giovanile loro età e contenti si terrebbero di poter servire anche nella loro vecchiaia il paese, quando per gravi circostanze abbisognasse di tutti i suoi figli.
      Le terre murate e munite di qualche fortificazione servono a ricettare munizioni da guerra e vettovaglie pel servizio delle truppe, le quali eviterebbero per tal modo l'accompagnamento di quei numerosi veicoli che sono sempre d'inciampo ai rapidi movimenti dei corpi d'armata, destinati ad inquietare il nemico. Ricettando nelle terre murate i cereali dei privati, si preservano dalla rapacità dell'assalitore, obbligato a trarre i suoi viveri da lontane parti, esponendoli al pericolo di essere presi dalle truppe nemiche.
      Servono ancora di punti di riunione alle truppe dopo un combattimento infausto, obbligano il nemico a dividere le sue forze, a guardarsi da assalti improvvisi per parte dei presidii dei borghi murati e forti, i quali, presi gli opportuni accordi fra loro, possono gettarsi alle spalle dell'invadente, ovvero assalire i convogli, ed intercettare le corrispondenze, mentre l'Esercito principale, che tiene la campagna, concorre a questi moti parziali dei presidii e molesta di fronte il nemico, che troppo baldanzoso voglia avanzare.
      Queste frequenti lotte, e la necessità di distruggere le terre presidiate cagionano gravi perdite al nemico, e mentre i difensori, protetti dalle mura, poco danno soffrono, molto ne recano ad esso, e sebbene le terre suddette non trovinsi in istato di fare lunga resistenza, perchè le opere di fortificazione non possono essere cosi numerose e bene armate, ciò non pertanto servono a stancare gli aggressori, a disanimare il soldato nemico, ad agguerrire i nostri, a creare un grande prestigio a favore della potenza militare del Regno, ed a far apprezzare la sua alleanza.
      Tali vantaggi ottenevano i nostri Principi da siffatto sistema, il quale, se era attuabile ed utile in que'tempi in cui le terre fortificate non avevano altri difensori che poche truppe assoldate, lo sarebbe assai più oggi che grazie all'istituzione della Guardia Civica, si otterrebbe una resistenza formidabile, uve fosse fortemente disciplinata ed istruita nel modo che sopra accennai, e guidata da buoni ufficiali, come sarebbero certamente quei vecchi militari messi a riposo o posti in riforma per inabilità al servizio attivo, ma capacissimi di servire nei presidi delle piazze.
      Il Servizio della Guardia Nazionale produrrebbe due vantaggi: quello cioè di porre in azione il coraggio che nasce dall'onore e dal dovere di difendere i propri lari, l'altro di non diminuire la forza dell'esercito regolare, il quale, tenendo la campagna in utili posizioni, volteggerebbe a seconda delle circostanze attorno alle squadre nemiche.
      Pochi paesi a mio vedere meglio che il nostro possedono condizioni più convenienti a questo genere di guerra difensiva: territorio coperto da numerosi borghi strategicamente situati; monti e valli facili a difendersi; fiumi e torrenti che solcano il piano; un gruppo di colli altissimi coperti da frequentissimi caseggiati, posti tra le valli del Po e del Tanaro, che servir possono di ricovero alle nostre truppe, ed hanno posizioni fortissime affine di vietarne l'accesso al nemico; in ultimo popolazioni armigere e pronte a difendere i loro focolari.
      Tutte queste condizioni, se volessimo valercene, presenterebbero all'invasore ostacoli tanto più gravi, quanto che un'armata di 200 mila combattenti, la quale a tempo opportuno uscirebbe dalle fortezze formidabili di Genova, Casale, Alessandria e da quelle altre,la cui costruzione venisse consigliata dal bisogno di creare una linea militare verso le frontiere Francesi ed Austriache, finirebbe col distruggere il nemico affievolito e diviso dai ripetuti assalti incontrati nella invasione.
      Che il sistema di difesa del quale vi parlo sia attuabile e debba produrre utili effetti, me ne convince quanto io ho osservato nelle guerre alle quali ho avuto l'onore di prender parte nel 1848-49 e 59. Nella prima campagna, se noi invece di spingerci oltre il Mincio, mentre si bloccava Mantova, ci fossimo tenuti dietro di questo fiume, ed avessimo fortificato Monzambano, Volta e Goito ( non che Valeggio posto sulla sinistra ) essendo nostra Peschiera, non si sarebbe forse il Marescallo Radescki avventurato ad attaccarci, ed avrebbe dovuto sboccare da Mantova; ed allora una seconda vittoria di Goito lo avrebbe per sempre ricacciato oltre il Mincio o anche, ammettendo il caso di una nostra disfatta, sarebbe stato lento nell'inseguirci, perchè sempre minacciato dai presidii di quelle borgate, nelle quali oltre allo Guardie Nazionali composte di quelle popolazioni, le quali quanto fossero disposte a spendere la vita per la loro libertà, lo avevano già dimostrato con magnanime prove nelle Città di Milano, Brescia, Bergamo ed in molte altre, si poteva lasciare una forza di circa mille uomini per ogni villaggio, e questi presidii avrebbero bastalo ad intercettare i viveri, sorprendere le corrispondenze, togliere infine ogni comunicazione con Verona e Mantova. Invece egli, il Maresciallo, non trovò munita che sola Peschiera, cui strinse subito d'assedio, lasciandovi un corpo d'armata per bloccarla.
      Nell'ultima campagna del 1850 le mie convinzioni s'accrebbero, scorgendo nello spirito delle popolazioni un elemento importante che avvalora il sistema difensivo eli'io propongo. Comandato col mio Reggimento a servire sotto gli ordini del generale Paraguay d'Hilliers che ancor mancava di cavalleria, noi coprivamo tutto il corpo d'armata francese dal Po agli Appennini, a cavallo della grande strada che tende a Piacenza. Nelle continue perlustrazioni ch'io facevo, sì nella pianura come nelle colline, i paesi minacciati dagli Austriaci chiedevano tutti armi per difendersi, avevano pronta ogni cosa per barricare il paese, anzi in Casteggio due barricate erano costrutte, ed una gioventù animosa, quantunque male armata, ne difendeva l'accesso. Io vi giungeva la sera del 19 maggio, vigilia della battaglia di Montebello, reduce da una lunga perlustrazione alla testa di soli sei soldati. Un grosso distaccamento di Usseri, Conte Haller, forte di circa 60 uomini, si avanzò e tentò penetrare nel paese, ma fu ricevuto a schioppettate, e di fronte alla nostra carica si diede alla fuga, non senza aver fatto fuoco contro di noi, che fortunatamente rimanemmo illesi, io solo avendo avuto il cavallo ferito. Al mattino del 20, quando gli Austriaci apersero il fuoco contro di noi in Casteggio, alla barricata stavano ancora molti cittadini che poscia insieme a noi retrocedettero, allorché vedemmo le forze nemiche spiegarsi in linea di battaglia. Montebello, posto in istato di difesa, anche con sole opere in terra ed occupato prima della battaglia, avrebbe forse impedito l'avanzarsi così rapido del nemico, e costato meno sangue ai Francesi, che per riprenderlo dovettero scacciare gli Austriaci di casa in casa.
      Il creare dunque numerosi ostacoli all'invasore col fortificare sovra punti frequenti del territorio nazionale i caseggiati strategicamente situati, principalmente quelli nel seno dei monti e dei colli presenta indubbi vantaggi, mentre, giova ripeterlo, conserva intiero l'esercito operante in campagna, ricovera altrettanti magazzeni di vettovaglie e di munizioni per servizio dell'esercito stesso, prolunga grandemente la resistenza, cagionando gravi perdite al nemico, se avesse l'imprudenza d'inseguirci nelle gole fortificate.
      Egli potrebbe bensì percorrere le parti piane indifese, ma senza però potervisi fermare, molestato come sarebbe continuamente alle spalle e dai presidii dei caseggiati fortificati, e dalla armata campale. La spesa cagionata da questo sistema difensivo sarebbe certamente forte,non tale però che da noi non si potesse sopportare. Perciocché parecchi comuni sono tuttora murati, e colà bastano poche riparazioni, in alcuni altri ben situati bastano fortificazioni in terra per opporre una resistenza di qualche giorno; tempo sufficiente per essere soccorsi o dagli altri presidii, o dall'esercito campale.
      L'armamento sarà anch'esso una spesa che i municipi non incontreranno a malincuore, imperciocché sarebbe specialmente consecrata alla difesa de'suoi amministrati, ed in generale a quella dell' indipendenza del Regno.
      Conchiuderò che con un' armata di 200 mila buoni soldati, diligentemente forniti d'armi di precisione, con un territorio coperto di molti fortilizi, protetti dalla natura dei luoghi, dallo esercito che manovra intorno al nemico, e dai mille ostacoli propri di un paese montuoso e solcato da tanti fiumi e torrenti, dotato di numerose ed armigere popolazioni, noi potremo guardar in faccia ad un esercito invasore quantunque fosse numericamente superiore, ritenuti altresì i mezzi da noi posseduti per provvederci di abbondanti sussistenze per la via del mare grazie all'Inghilterra, la quale, se non potrà soccorrerci colle armi sue, sarà però sempre disposta a mantenere libero il mare da lei padroneggiato.
      Procediamo adunque all'attuazione del proposto sistema difensivo: ogni giorno di ritardo nel prepararsi a sostenere l'urto delle armi straniere pregiudica la nostra causa e ritarda l'ora della nostra indipendenza. Né bisogna illudersi; finora ciò che abbiamo fatto non è che l'esordio del molto che ci rimane a fare per raggiungere il grande scopo della nazionalità italiana, che da tutti ci è contrastato. Prima che l'Italia sia veramente degli Italiani, come disse il valoroso nostro Re, noi dovremo percorrere una lunga serie di vicissitudini.
      I nostri vicini, e forse anche i lontani, in forza delle loro relazioni coi principi spodestati, non sono amici nostri, penseranno assalirci ogniqualvolta noi tenteremo di emanciparci; in guisa che è duopo o di continuare nella loro sudditanza, o preparare tali armamenti, per cui s'avvedano non esser tanto facile la loro vittoria, (gli stranieri già impararono a conoscerci: l'armata francese non crede più al detto del suo poeta «Les Italiens ne se battent pas». Montebello, Palestro e San Martino hanno provato che se il soldato francese è valoroso, l'italiano è degno di combattere al suo fianco, perchè nel giorno della lotta, come il francese l'italiano non conta il numero dei nemici che gli stanno a fronte. Armiamoci dunque, ogni uomo abile sia soldato, ogni villaggio una cittadella: ricordiamo che Dio ci ha creati liberi, e che l'audacia e la perseveranza ci devono rendere tali.

      Pinerolo, Maggio 1860.